Terza Pagina
Rivista Internazionale di Poesia, Arte e Teatro
AMERICAN POETRY : Yusef Komunyakaa

american poetry : YUSEF KOMUNYAKAA

anno 1 - N° 02
6 Settembre 2016

Oggi su “Terza Pagina” presentiamo un poeta contemporaneo del quale presto speriamo di poter dare alle stampe un libro anche per i lettori in lingua italiana. 
Yusef Komunyakaa (Bogalusa, Louisiana 1947) vincitore del premio Pulitzer nel 1994, ha conosciuto il successo con la pubblicazione di Dien Cai Dau nel 1988. In quel libro, per la prima volta, il poeta ha affrontato l’argomento delle sue esperienze nella guerra in Vietnam. Da quella raccolta proponiamo qui in anteprima tre poesie nella traduzione di Gianni Darconza.



CAMOUFLAGING THE CHIMERA

We tied branches to our helmets.
We painted our faces & rifles
with mud from a riverbank,

blades of grass hung from the pockets
of our tiger suits. We wove
ourselves into the terrain,
content to be a hummingbird’s target.

We hugged bamboo & leaned
against a breeze of the river,
slow-dragging with ghosts

from Saigon to Bangkok,
with women left in doorways
reaching in from America.
We aimed at dark-hearted songbirds.

In our way station of shadows
rock apes tried to blow our cover,
throwing stones at the sunset. Chameleons

crawled our spines, changing from day
to night: green to gold,
gold to black. But we waited
till the moon touched metal,

till something almost broke
inside us. VC struggled
with the hillside, like black silk

wrestling iron through grass.
We weren’t there. The river ran
through our bones. Small animals took refuge
against our bodies; we held our breath,

ready to spring the L-shaped
ambush, as a world revolved
under each man’s eyelid.


 
CAMUFFANDO LA CHIMERA

Attaccammo rami ai nostri elmetti. 
Ci dipingemmo le facce e i fucili
con il fango della riva di un fiume,

fili d’erba appesi alle tasche
delle nostre tute mimetiche. Procedevamo
a zig zag penetrando nel terreno, 
contenti di essere bersaglio per i colibrì.

Accarezzavamo i bambù e trovavamo 
conforto nella brezza del fiume,
trascinandoci coi fantasmi

da Saigon a Bangkok,
con le donne lasciate sulla soglia
che ci tendevano la mano dall’America.
Miravamo agli uccelli dal canto cupo.

Durante le soste, circondati da ombre,
le scimmie delle rocce tentavano di smascherarci,
lanciando pietre al tramonto. I camaleonti

strisciavano sulle nostre schiene, mutando da giorno
a notte: da verde a dorato,
da dorato a nero. Ma noi aspettammo
finché la luna divenne metallo,

finché qualcosa si spezzò quasi
dentro di noi. I Vietcong lottavano
contro il pendio, come seta nera

alle prese col ferro attraverso l’erba.
Noi non c’eravamo. Il fiume ci scorreva
nelle ossa. Piccoli animali trovarono rifugio
contro i nostri corpi; trattenemmo il respiro,

pronti a far scattare la nostra imboscata
a L, mentre un mondo ruotava
sotto le palpebre di ogni uomo.


 
WE NEVER KNOW

He danced with tall grass
for a moment, like he was swaying
with a woman. Our gun barrels
glowed white-hot.
When I got to him,
a blue halo
of flies had already claimed him.
I pulled the crumbled photograph
from his fingers.
There’s no other way
to say this: I fell in love.
The morning cleared again,
except for a distant mortar
& somewhere choppers taking off.
I slid the wallet into his pocket
& turned him over, so he wouldn’t be
kissing the ground.


 
NON SI SA MAIi

Danzò per un momento
con l’erba alta, come se fosse avvinghiato
a una donna. I nostri fucili
divamparono di un rovente biancore.
Quando gli fui accanto,
un alone azzurro
di mosche lo aveva già rivendicato.
Strappai la foto sgualcita
dalle sue dita.
Non c’è altro modo
pe dirlo: mi innamorai.
Il mattino si schiarì nuovamente,
all’infuori di un mortaio distante
e di elicotteri che decollavano chissà dove.
Gli infilai il portafoglio in tasca
e lo rivoltai per evitare 
che baciasse il suolo.


 
TU DO STREET

Music divides the evening.
I close my eyes & can see
men drawing lines in the dust.
America pushes through the membrane
of mist & smoke, & I’m a small boy
again in Bogalusa. White Only
signs &Hank Snow. But tonight
I walk into a place where bar girls
fade like tropical birds. When
I order a beer, the mama-san
behind the counter acts as if she
can’t understand, while her eyes
skirt each white face, as Hank Williams
calls from the psychedelic jukebox.
We have played Judas where
only machine-guns fire brings us
together. Down the street
black GIs hold to their turf also.
An off-limits sign pulls me
deeper into alleys, as I look
for a softness behind these voices
wounded by their beauty & war.
Back in the bush at Dak To
& Khe Sanh, we fought
the brothers of these women
we now run to hold in our arms.
There’s more than a nation
inside us, as black & white
soldiers touch the same lovers
minutes apart, tasting
each other’s breath,
without knowing these rooms
run into each other like tunnels
leading to the underworld.
 
 
 
TU DO STREET

La musica divide la sera.
Chiudo gli occhi e vedo
uomini tracciare linee nella polvere.
L’America si spinge attraverso la membrana
di nebbia e fumo, e sono di nuovo 
un bambino a Bogalusa. Cartelli
dicono Solo bianchi e Musica country. Ma stanotte
entro in un locale dove le ragazze
svaniscono come uccelli tropicali. Quando
ordino una birra, mamma-san
dietro al bancone fa finta
di non capire, e i suoi occhi
costeggiano ogni faccia bianca, mentre Hank Williams
ci chiama dal jukebox psichedelico.
Abbiamo recitato il ruolo di Giuda laddove
solo le raffiche di mitragliatore
ci uniscono. Per le strade
anche i soldati neri si tengono stretti alla loro zolla.
Un cartello di accesso vietato mi trascina
in vicoli bui, mentre vado in cerca
di un po’ di tenerezza dietro a queste voci
ferite dalla loro bellezza e dalla guerra.
Laggiù, nella selva di Dak To
e Khe Sanh, abbiamo combattuto
contro i fratelli di queste donne
che ora ci affrettiamo a stringere tra le braccia.
C’è più di una nazione
dentro di noi, poiché soldati bianchi
e neri toccano le stesse amanti
a minuti di distanza, assaporando
ciascuno il respiro dell’altro,
senza sapere che queste stanze
si infilano l’una nell’altra come gallerie
che conducono agli inferi.
 
Da: Yusef Komunyakaa​, Dien Cai Dau (1988) - Traduzione italiana di Gianni Darconza