Le lettere di Montale a Carlo Bo coprono quarant’anni, dal 1935 al 1975, ma sono principalmente concentrate nei primi anni, fino al ‘42. Sono gli anni più trionfali del fascismo e per Montale drammatici, anche sul piano personale (il tormentato sogno amoroso con Clizia), ma un poco confortati dal quotidiano doppio appuntamento al caffè fiorentino delle Giubbe Rosse, di cui queste lettere – per certi versi – costituiscono il prolungamento scritto, indirizzate al giovane amico di Sestri Levante ormai periodicamente assente, dopo la laurea fiorentina in lettere nel 1934.
Sono lettere di intima confidenza, più che con altri interlocutori. Attestano il combattimento con quella realtà, con cui Montale non ha mai avuto armonici rapporti, ma sempre movimenti sghembi e complessi, come anche sono queste brevi lettere, così ricche di sovrasenso e sottotesto, al di là dell’immediato dettato. Montale avverte il bisogno, a più riprese, di confidare, per allusioni, il proprio malessere umano e politico, che presenta, all’interlocutore credente, anche con inquiete provocazioni nei confronti della Chiesa fascisteggiante e verso un Dio irreperibile nelle vicende di quegli anni (dalla guerra di Etiopia a quella di Spagna alle leggi razziali). E d’altra parte, all’opposto, è anche toccante la sincera richiesta di preghiera rivolta al giovane di fede da parte dell’uomo maturo disperato su più fronti.