Con un singolare accostamento tra mondo delle cose e mondo dei viventi, la fantasia di Rodolfo Francesconi dà voce alla storia di una casa. E di voce effettiva si tratta, anche se concepita in forma di pensieri, destinati, solo attraverso la pagina scritta, a trovare espressione e parola. Dal concepimento alla morte (e quale peggiore morte per una casa, se non quella di essere rasa al suolo?) la casa si presenta come un essere umano, che sente e gioisce, soffre e palpita, trovando metafore antropiche per esprimere i cambiamenti che si svolgono dentro e fuori dal suo corpo. Così, la casa, come in un gioco di rimandi, si fa eco e custode delle voci che al suo interno si sono propagate. (Pierluigi Moressa)
Caro Rodolfo, hai fatto bene a umanizzare la casa, questa tua casa vecchia che poi sei tu, la tua mente, ancor più del corpo. Ti ringrazio d’aver scelto proprio una nostra casa di contadini come oggetto d’identificazione. Mi ci ritrovo anch’io. È vero, noi siamo come una casa d’altri tempi, dentro le cui stanze tanta gente ha vissuto, goduto e patito. Siamo pur sempre una casa accogliente con tante persone dentro che si son frequentate, odiate e amate. (Alberto Spadoni)