[...] La lingua, poi, ha assunto un pieno ruolo di governo dell’emozioni dell’io, e laddove si intravede ancora qualche scoria del soggetto, ebbene questo è dovuto a un esaltante, e lacerante allo stesso tempo, percezione d’arrivo stupefatto di fronte all’altro da sé e di un esistere meravigliato alla meraviglia dell’altro da sé, in grado di “riempire ogni anfratto” e cancellare “tutta la sete in un incendio”, altro da sé “cucito/ alla vita come fossi una cintura”, a mo’ di manifesto nel componimento d’apertura del volume e di limpida allegoria cristologica. “Suono e senso finalmente s’innalzano”, “senso d’arrivo stupefatto di fronte all’altro da sé”: sono questi i due architravi di lettura per Il Canto di Cecilia, il poemetto posto dunque in ultimo non a caso e dove Laura Corraducci ha sublimato la sua peculiare risposta, non solo stilistico-formale, alla collocazione dell’io.
Francesco Napoli
esaurito