Nelle pagine di questo libro compatto e necessario, c’è un autore (“un uomo perso nella vita”) che dal “parapetto del mondo” si lancia a remare controcorrente dentro il gran mare dell’essere e delle convenzioni, con la forza istintiva della sua sensibilità, con la coerenza della sua intelligenza, con l’energia della sua coscienza inquieta, con la sofferenza di una memoria che non fa sconti a chi ne subisce l’urto personale anche più drammatico.
Il tappeto dei sensi e delle ragioni viene srotolato secondo la forma dell’appunto lirico frantumato, delicato e a volte risentito, celato o mai del tutto svelato fino in fondo, ma quanto più alluso tra le righe tanto più penetrante.
L’amore, l’attrazione, la dipartita, il ritorno, il dubbio, l’assenza, sono materia da sempre inesauribile della vita e Matteo de Albentiis non si sottrae a niente, riportando l’analisi incisiva del suo pensiero alle costanti di una natura ben più benevola della storia (“nell’occidente inspiegabile e senza nome”), pronto a ritrovarsi tra le braccia di paesaggi, stagioni, giornate ed ore, albe e tramonti, che riconciliano con se stessi se non con il male del mondo.
Lo stile è quello di un procedere ritmico leggero e raffinato, trainato e contraddistinto da un andamento musicale di melodia che deve l’effetto al tessuto eufonico del linguaggio e a una parola limpida e cristallina, dai molti riflessi interni, che simbolicamente si metaforizza fin dal titolo, Il colore dell’aria appunto. (Paolo Ruffilli)