[...] la prima importante scelta di Gabriele è quella di una lingua ‘estrema’ della poesia, che non concede, almeno nello stile, nulla al parlato, limitandosi ad ammiccare, e si ritiene su una sua sponda solitaria, donde può ammirare spalancarsi l’orizzonte dal solido faro di quella tradizione lirica che ha trovato, nel corso del Novecento, una stagione insperata nell’ermetismo (ove lo si collochi in quegli anni trenta di acre tanfo retorico), e quindi ha conservato, nel prosieguo del secolo breve, la speciale nostalgia di una parola in vari modi declinata, tra il sogno di un’inattingibile purezza e l’intimismo post-lirico. (S. R.)