Il poema L’Acerba, definito da Gianfranco Contini l’“Anti Commedia” è una raccolta scientifica di ampia fruibilità. In esso, infatti, Cecco dimostra di avere la mentalità del maestro che con passione e con gusto vuole impartire un insegnamento rigorosamente scientifico e rispettoso della "verità della scienza" del suo tempo. Egli perciò, da una parte cerca di vivacizzare una materia incomprensibile ed astratta; dall’altra si scaglia aspramente contro la poesia “fatta di favole”. Suo bersaglio preferito è la Divina Commedia di Dante vista come la negazione della “scienza vera”. Infatti alla base delle convinzioni e delle conoscenze fisiche e naturali professate da Cecco, oltre al pensiero filosofico scientifico di Aristotele e quello di Tommaso d’Aquino c’è la conoscenza del pensiero dei filosofi arabi all’epoca dominanti. Sulla base delle loro teorie discute delle questioni scientifiche più dibattute nella società in cui viveva: per esempio, dell’ordine dei cieli, della terra, delle eclissi, della natura dei fenomeni atmosferici, delle Virtù o delle scienze occulte.
Il poema, suddiviso in quattro libri (oltre a un frammento del quinto), rimase incompiuto, perché le sue opinioni scientifiche e teologiche giudicate eretiche, lo fecero condannare al rogo.
Con il chiaro intento di marcare la differenza tra il suo poema e la Commedia dantesca, Cecco organizza i capitoli per sestine, composte in sostanza da coppie di terzine di endecasillabi con uno schema metrico che ricorda molto da vicino quello della rima incatenata utilizzata da Dante; la differenza sta appunto nel fatto che ogni sestina è isolata dalle altre, e non incatenata.