Nel 1911 Gilbert K. Chesterton pubblicò The Ballad of the White Horse, il poema epico, o meglio aborigeno, che celebra la storia di Alfred The Great, re del Wessex dal 871 al 899. L’intera trama di questo testo ruota attorno ad un fatto storico, la battaglia di Ethandune che fu combattuta dal 6 al 12 maggio del 878 e vide Alfred sconfiggere, contro ogni previsione, gli invasori Danesi, cha stavano dilagando sul suolo inglese, guidati da re Guthrum. Ma, per dichiarazione dello stesso autore, non è un intento storiografico quello che sostiene il poema:
«Il culto di Alfred appartiene alla tradizione popolare, dall’oscurità del IX secolo fino agli albori del XX. È dell’intera tradizione popolare su di lui che mi occupo qui. Scrivo come chi è assolutamente ignorante di tutto, eccetto che di aver verificato che la leggenda del Re del Wessex è tuttora viva nel paese.» G.K. Chesterton
«L’ignoranza storiografica dichiarata da Chesterton è una scommessa sul valore culturale e fondativo della tradizione popolare: «Non è “la vita quotidiana dell’uomo medioevale” quella che Chesterton vuole scrivere, ma la storia che ha dato origine al suo popolo, quella che lo ha animato e che lo ha fatto sorgere, quella che in poche parole ha trasformato una massa di disperati in una civiltà. La ballata del cavallo bianco è la storia dell’incontro fra il fatto cristiano e l’Inghilterra. È da quest’incontro che è nata la nazione inglese e la sua salvezza, allora come adesso, sta nel riconoscere questo fatto che diviene perciò storicamente fondativo.» Marco Antonellini
«Il lettore incontrerà il fatto nudo e crudo che è l’avventura di un re che costruisce e difende il suo regno; ma è più corretto riferirsi ai lettori e non ad un singolo lettore perché la forma del poema «è adeguata all’ascolto collettivo: esso è “the tales a whole tribe feigns” (Dedica, v. 27), il racconto che unisce la tribù accanto al fuoco e unisce perché le parole, i suoni, i ritmi, si sedimentano come memoria di un’immaginazione collettiva. Come nell’epica classica, il testo è pensato per l’ascolto: Chesterton usa gli strumenti poetici come fossero note, pennelli e scalpelli, li usa per scolpire una storia, una sinfonia scultorea, che resta al popolo come “tradizione”.» Annalisa Teggi