Mentre insegnava latino e greco nelle varie università dove aveva accettato l’incarico, Pascoli pubblicò tre volumi di analisi dantesca Minerva oscura (1898), Sotto il velame (1900) e La Mirabile Visione (1902).
Il poeta riteneva di essere stato il primo letterato del suo tempo a offrire “la verace interpretazione del poema sacro”, cosa che gli addolciva “la vita” e non gli faceva “temer più la morte”.
In La mirabile visione Pascoli riepiloga le principali corrispondenze strutturali del poema sviluppando la già intuita simmetria della croce e dell’acquila e cercando d’inserirle nel diorama della vita di Dante.
In tale contesto evidentemente assume un’importanza particolare il seguente passo dantesco: “apparve a me una mirabile visione, ne la quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta [Beatrice] infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei”. Il ritorno a Beatrice, formulato in questo luogo testuale, “non è altro che la storia della Commedia come liberazione dal peccato-selva attraverso l’abbandono delle seduzioni filosofiche e politiche (il corto andare al bel colle), e dunque della vita attiva per la contemplativa”. Nella “Prolusione al Paradiso” (sempre di La mirabile visione) Pascoli sintetizza le proprie intuizioni interpretative già formulate “ricapitolando il significato della selva e delle fiere, di Virgilio trasfuso in S. Bernardo e di Dante figurato nel triplice ruolo di Enea, Giacobbe e Paolo”.