La parola poetica di Caterina Camporesi sembra potersi assimilare a un’operazione plurima di attenzione in una sequenza di ascolto, ospitalità, corrispondenza: si tratta infatti di ob-audire (prestare ascolto rivolti) alla parola che affiora dal silenzio, accoglierla come visita e dono (ospitalità), tentare di ripeterla (corrispondenza) al vaglio di un valore semantico che si dischiude all’orecchio interiore lavorando infine senza cedimenti d’ascia e di lima.
L’ascolto del silenzio da cui “naturaliter” sgorga la parola sembra potersi descrivere, infatti, come un affinare la percezione sensoriale che le cose e gli accadimenti esercitano sulla corporeità. Fermarla nell’attenzione a non disperderla, a non lasciarla rifluire nel vortice della mente sempre incline a distrarsi, equivale a un atto di ospitalità, condizione sempre reversibile (come il sostantivo “ospite” da cui ospitalità deriva) di scambio e reciprocità nella trascrizione del dettato che può illuminare di senso e significati tali da esigere infine il lavoro di giustizia e finitura senza timore delle lame, più o meno affilate che si rendano opportune. (Anna Maria Tamburini)