Re Lear si diverte – gioco di parole, pronunciato da uno dei personaggi, che è un palese incrocio tra King Lear di Shakespeare e Le Roi s’amuse di Hugo – è un romanzo giallo. O, forse, un romanzo d’ambiente e di caratteri, racchiuso nell’involucro di giallo. L’ambiente in questione è il piccolo grande mondo del teatro d’opera. Protagonista un ex celebre baritono che, avendo perso la voce dopo una banale influenza, è stato costretto a cambiare lavoro, trasformandosi in detective privato. Attorno a lui – creando una sorta di rete polifonica – un fitto corteggio di coprotagonisti, antagonisti, deuteragonisti. Un romanzo che oscilla fra il poliziesco, l’umoristico e il grottesco, modulante attraverso differenti registri stilistici a seconda del punto di vista dei personaggi, serratamente dialogato nell’intento di costruire in forma narrativa arie, duetti, quartetti: proprio come nelle opere liriche. Quanto ai drammi di Shakespeare e Hugo – quest’ultimo, non dimentichiamolo, fonte del Rigoletto di Verdi – con cui gioca il titolo, si riveleranno essere le due polarità del mistero e, in qualche modo, la chiave per risolverlo. Fino a un epilogo che, forse contravvenendo alle regole del giallo, mostra come “i fatti” non sempre coincidano con “la verità”. Perché, a motivare l’implacabile catena di omicidi, è stato in fondo il noto precetto verdiano per cui «Copiare il Vero può essere una buona cosa, ma inventare il Vero è meglio, molto meglio».