Questi versi brevi, talvolta quasi saltellanti, hanno un’andatura tutt’altro che spezzata, procedono con l’energia disarmata dei bambini, si afferrano a poeti come Nino Pedretti, testimoni di una tradizione che Milena De Luigi fa propria con rapida delicatezza.
I riferimenti di queste poesie sono svelati senza timore nel tessuto del testo: Ungaretti in primis, Montale in certe figure, Caproni nei suoi tratti più cantabili. In questo diario però c’è anche il candore di Antonia Pozzi, non la sua parte oscura ma il suo tratto religioso, tenero e dolente. La scrittura di Milena De Luigi affonda con fiducia le sue radici nella materia amata e insegnata, senza la pretesa di rinnovarla, ma con l’umiltà di un dialogo innamorato e scoperto. Tra i contemporanei si riconosce il nume tutelare di Umberto Piersanti, la gentilezza del suo monologare. La radice della poesia, che Milena De Luigi ha coltivato a lungo nella sua vita, oggi mette questo germoglio vivace, che nelle chiuse spesso sospese e nei passaggi di inquietudine si fa più forte. Luoghi, tempi, trasparenze accompagnano queste pagine, ma soprattutto volti e nomi; risuonano i nomi dei figli, degli amici, degli amati, guardati con miracolosa meraviglia, affidati alla poesia come a un più compiuto bene… (Isabella Leardini)