Susan Stewart è nata in Pennsylvania. È poeta, critico e traduttore. La sua poesia è stata ampiamente antologizzata. Nel 2013 l'abbiamo presentata grazie a Maria Cristina Biggio nel nostro Almanacco dei poeti e della poesia contemporanea da cui oggi riproponiamo due sue poesie con la speranza di poterla presto reincontrare.
The Owl
I thought somehow a piece of cloth was tossed
into the night, a piece of cloth that flew
up, then across, beyond the window.
A tablecloth or handkerchief, a knot
somehow unfolding, folded, pushing through
the thickness of the dark. I thought somehow
a piece of cloth was lost beyond the line—
released, although it seemed as if a knot
still hung, unfolding. Some human hand could not
have thrown that high, or lent such force to cloth,
and yet I knew no god would mind a square
of air so small. And still it moved and still
it swooped and disappeared beyond the pane.
The after-image went, a blot beyond
the icy glass. And, closer, there stood winter
grass so black it had no substance
until I looked again and saw it tipped
with brittle frost. An acre there (a common-
place), a line of trees, a line of stars.
So look it up: you’ll find that you could lose
your sense of depth,
a leaf, a sheaf
of paper, pillow-
case, or heart-
shaped face,
a shrieking hiss,
like winds, like
death, all tangled
there in branches.
I called this poem “the owl,”
the name that, like a key, locked out the dark
and later let me close my book and sleep
a winter dream. And yet the truth remains
that I can’t know just what I saw, and if
it comes each night, each dream, each star, or not
at all. It’s not, it’s never, evident
that waiting has no reason. The circuit of the world
belies the chaos of its forms—(the kind
of thing astronomers
look down to write
in books).
And, still, I thought a piece of cloth
had flown outside my window, or human hands
had freed a wing, or churning gods revealed
themselves, or, greater news, a northern owl,
a snowy owl descended.
from Red Rover (2008)
Il gufo
Pensavo che in qualche modo un pezzo di stoffa fosse stato
scagliato nella notte, un pezzo di stoffa che volava
in alto, poi da una parte all’altra, di là dalla finestra.
Una tovaglia o un fazzoletto, un nodo
che in qualche modo si allentava, si stringeva, attraverso
il buio fitto. Pensavo che in qualche modo
un pezzo di stoffa si fosse perduto oltre la corda del bucato –
liberato, sebbene sembrasse come un nodo
ancora sospeso, allentato. Mani umane non potevano
aver lanciato così in alto, o impresso una tale forza alla stoffa,
eppure sapevo che nessun dio si sarebbe dato pena per un riquadro
d’aria così piccolo. E ancora si muoveva e ancora
si precipitava e svaniva oltre il vetro.
Il dopo-immagine se ne andò, una macchia oltre
la lastra ghiacciata. E là, più vicina, stava l’erba
invernale così nera da non avere consistenza
finché guardai ancora e lo vidi piegarsi
di fragile brina. Un acro di là (un luogo
comune), una fila di alberi, una fila di stelle.
Cercalo dunque: troverai che potresti perdere
il senso della profondità,
una foglia, un fascio
di carta, una federa
o una faccia
a forma di cuore,
un sibilo che infuria,
come i venti, come
la morte, in un groviglio
là nei rami.
Ho chiamato questa poesia “il gufo,”
il nome che, come una chiave, serrasse fuori il buio
e mi lasciasse poi chiudere il libro e fare
un sogno invernale. Eppure la verità rimane
che non posso sapere solo quel che ho visto e se
viene ogni notte, ogni sogno, ogni stella, o
per niente. Non è, non è mai evidente
che l’attesa sia senza motivo. La rivoluzione del mondo
smentisce il caos delle sue forme – (il tipo
di cosa per cui gli astronomi
abbassano lo sguardo per scrivere
nei libri).
E ancora pensavo che un pezzo di stoffa
fosse volato fuori dalla mia finestra, o che mani umane
avessero liberato un’ala, o dèi vorticosi si rivelassero,
o che, novità meravigliosa, un gufo del nord,
un gufo delle nevi fosse disceso.
da Red Rover (ed. italiana 2011)
The Forest
You should lie down now and remember the forest,
for it is disappearing––
no, the truth is it is gone now
and so what details you can bring back
might have a kind of life.
Not the one you had hoped for, but a life
––you should lie down now and remember the forest—
nonetheless, you might call it “in the forest,”
no the truth is, it is gone now,
starting somewhere near the beginning, that edge,
Or instead the first layer, the place you remember
(not the one you had hoped for, but a life)
as if it were firm, underfoot, for that place is a sea,
nonetheless, you might call it “in the forest,”
which we can never drift above, we were there or we were not,
No surface, skimming. And blank in life, too,
or instead the first layer, the place you remember,
as layers fold in time, black humus there,
as if it were firm, underfoot, for that place is a sea,
like a light left hand descending, always on the same keys.
The flecked birds of the forest sing behind and before
no surface, skimming. And blank in life, too,
sing without a music where there cannot be an order,
as layers fold in time, black humus there,
where wide swatches of light slice between gray trunks,
Where the air has a texture of drying moss,
the flecked birds of the forest sing behind and before:
a musk from the mushrooms and scalloped molds.
They sing without a music where there cannot be an order,
though high in the dry leaves something does fall,
Nothing comes down to us here.
Where the air has a texture of drying moss,
(in that place where I was raised) the forest was tangled,
a musk from the mushrooms and scalloped molds,
tangled with brambles, soft-starred and moving, ferns
And the marred twines of cinquefoil, false strawberry, sumac—
nothing comes down to us here,
stained. A low branch swinging above a brook
in that place where I was raised, the forest was tangled,
and a cave just the width of shoulder blades.
You can understand what I am doing when I think of the entry—
and the marred twines of cinquefoil, false strawberry, sumac—
as a kind of limit. Sometimes I imagine us walking there,
(...pokeberry, stained. A low branch swinging above a brook)
in a place that is something like a forest,
But perhaps the other kind, where the ground is covered
(you can understand what I am doing when I think of the entry)
by pliant green needles, there below the piney fronds,
a kind of limit. Sometimes I imagine us walking there.
And quickening below lie the sharp brown blades,
The disfiguring blackness, then the bulbed phosphorescence of the roots,
But perhaps the other kind, where the ground is covered,
so strangely alike and yet singular, too, below
the pliant green needles, the piney fronds.
Once we were lost in the forest, so strangely alike and yet singular, too,
but the truth is, it is, lost to us now.
from The Forest (1995)
La foresta
Dovresti sdraiarti ora e ricordare la foresta,
perché sta sparendo –
no, la verità è che è scomparsa ormai
e così qualsiasi dettaglio tu possa richiamare alla memoria
potrebbe avere una specie di vita.
Non quella che avevi sperato, ma una vita
– dovresti sdraiarti ora e ricordare la foresta –
tuttavia, potresti chiamarla “nella foresta,”
no la verità è, che è scomparsa ormai,
cominciando in qualche posto vicino all’inizio, a quel bordo,
O invece al primo strato, al posto che ricordi
(non quella che avevi sperato, ma una vita)
quasi fosse solido, sotto i piedi, perché quel posto è un mare,
tuttavia, potresti chiamarlo “nella foresta,”
sul quale non possiamo mai andare alla deriva, essendo lì o no,
Rasenti a nessuna superficie. E anche al nulla nella vita,
o invece al primo strato, al posto che ricordi,
mentre gli strati si piegano nel tempo, nell’humus nero,
quasi fosse solido, sotto i piedi, perché quel posto è un mare,
come una mano sinistra che scende leggera, sempre sulle stesse chiavi.
I variopinti uccelli della foresta cantano di là da te,
rasenti a nessuna superficie. E anche al nulla nella vita,
cantano senza una musica dove non ci può essere armonia,
mentre gli strati si piegano nel tempo, nell’humus nero,
dove vasti panneggi di luce si stagliano fra i tronchi grigi,
Dove l’aria è intessuta di muschio che s’asciuga,
i variopinti uccelli della foresta cantano di là da te:
un aroma di muschio dai funghi e dalle trine di muffe.
Cantano senza una musica dove non ci può essere armonia,
benché qualcosa cada dall’alto nelle foglie secche,
Niente che scenda qui da noi.
Dove l’aria è intessuta di muschio che s’asciuga,
(in quel posto dove son cresciuta) la foresta in un groviglio,
un aroma di muschio dai funghi e dalle trine di muffe,
dolce-stellato andare, in un groviglio di rovi, di felci
E lente cordicelle di cinquefoglia, falsa fragola, sommacco –
niente che scenda qui da noi,
macchiato. Un ramo basso che dondola sopra un torrente
in quel posto dove son cresciuta, la foresta in un groviglio,
e uno spazio cavo proprio dell’ampiezza delle scapole.
Puoi capire quel che faccio se penso al varco –
e alle lente cordicelle di cinquefoglia, falsa fragola, sommacco –
come a una specie di limite. A volte immagino noi che camminiamo lì
(…fitolacche, macchiati. Un ramo basso che dondola sopra un torrente)
in un posto che è qualcosa di simile a una foresta.
Ma forse d’altro tipo, dove il suolo è sotto una coltre
( puoi capire quel che faccio se penso al varco)
di verdi aghi cedevoli, lì sotto le fronde di pino,
una specie di limite. A volte immagino noi che camminiamo lì.
E affrettandosi di sotto brune s’adagiano le affilate foglie,
La nerezza che si sfigura, poi la bulbosa fosforescenza delle radici.
Ma forse d’altro tipo, dove il suolo è sotto una coltre,
così stranamente simile eppure anche così originale, sotto
i verdi aghi cedevoli, le fronde di pino.
Una volta ci eravamo perduti nella foresta, così stranamente simile eppure anche così originale,
ma la verità è, che essa è, ormai perduta per noi.
da Columbarium e altre poesie (Ares, 2006)
(Traduzioni di Maria Cristina Biggio)
Da: Almanacco dei Poeti e della Poesia contemporanea n. 1 (2013) a cui si rimanda per l’approfondimento.