Con il settantesimo numero della nostra Terza Pagina torniamo a segnalare un nuovo poeta, questa volta un argentino. Il suo nome è Leopoldo Castilla ed è nato a Salta, Argentina. Nel 1976 decise di allontanarsi dal suo paese perché perseguitato dalla dittatura militare. Oggi risiede a Buenos Aires. Leopoldo Castilla è poeta forte e particolarmente prolifico. La sua poesia è stata tradotta in inglese, francese, tedesco, italiano, svedese, portoghese, cinese, turco, macedone e russo, e ha ricevuto riconoscimenti sia a livello nazionale che internazionale. Recentemente l’Accademia Argentina delle Lettere ha premiato Tiempos de Europa (Buenos Aires, El Suri Porfiado, 2014), come il miglior libro di poesia pubblicato nel triennio che va dal 2013 al 2015. Presto daremo alle stampe una sua corposa antologia che abbraccia gran parte della produzione poetica di Leopoldo Castilla, dal 1982 al 2017. Di seguito due poesie tratte dalle sue più recenti raccolte.
DUDA
Después de cruzar la tempestad,
haberlo visto todo
y perdido la razón
la calavera, responde:
no, Hamlet,
ser y no ser,
simultáneamente,
esa es la cuestión.
DUBBIO
Dopo aver attraversato la tempesta,
aver visto tutto
e perso la ragione
il teschio risponde:
no, Amleto,
essere e non essere,
simultaneamente,
è questo il problema.
Dopo aver attraversato la tempesta,
aver visto tutto
e perso la ragione
il teschio risponde:
no, Amleto,
essere e non essere,
simultaneamente,
è questo il problema.
Da Poesón (al universo), 2016.
EL PRIMER HOMBRE
Lo rodean
el pavor,
el ultraje del polvo
y las hormigas.
Sale del cubil. Se alza
sostenido por su propio abismo.
Siglos
durará el día en que se irguió,
siglos en cerrarse
a sus espaldas
el precipicio.
Ya el olfato se volvió memoria,
el vértigo
ojo
y campo abierto el aullido.
No sabe si es el primero
o el último.
De pie, al borde,
para siempre,
en todo lo que mire
verá lo que se ha ido.
Desunido de la noche
conoció la luz
y su propia sombra
que no es de este mundo.
Inefable, todavía,
tocó el abstracto decidido de la roca,
se vio en las otras bestias
con otra forma
aparecido.
Y escuchó por primera vez cantar un pájaro
y nunca más volvió a ser el mismo.
Dura aquí, en una caja nocturna
del Museo de Nairobi, entre los fantasmas.
de los animales.
Junto a sus huellas que el volcán retuvo
marchan, todavía, las de su hijo.
Somos tú y yo, sin nombre
en el mismo camino,
la misma luna vieja
deshuesándonos
y al final lumbreras
que alguien saldrá a ver
mirando la noche,
desconocido.
IL PRIMO UOMO
Lo circondano
il panico,
l’oltraggio della polvere
e le formiche.
Esce dalla tana. Si alza
sostenuto dal suo stesso abisso.
Secoli
durerà il giorno in cui si eresse,
secoli a chiudersi
alle sue spalle
il precipizio.
Già l’olfatto è diventato memoria,
la vertigine
occhio
e campo aperto l’urlo.
Non sa se è il primo
o l’ultimo.
In piedi, sull’orlo,
per sempre,
in tutto ciò che guarda
vedrà ciò che se n’è andato.
Separato dalla notte
conobbe la luce
e la sua propria ombra
che non di questo mondo.
Ineffabile, ancora,
toccò l’astratto deciso della roccia,
si vide nelle altre bestie
in un’altra forma
apparso.
E sentì per la prima volta cantare un uccello
e non tornò mai più a essere lo stesso.
Dura qui, in una cassa notturna
del museo di Nairobi, tra i fantasmi.
degli animali.
Vicino alle sue orme che il vulcano trattenne
camminano, ancora, quelle di suo figlio.
Siamo tu e io, senza nome
sulla stessa strada,
la stessa luna vecchia
disossandoci
e alla fine fonti luminose
che qualcuno uscirà a vedere
guardando la notte,
sconosciuto.
Lo circondano
il panico,
l’oltraggio della polvere
e le formiche.
Esce dalla tana. Si alza
sostenuto dal suo stesso abisso.
Secoli
durerà il giorno in cui si eresse,
secoli a chiudersi
alle sue spalle
il precipizio.
Già l’olfatto è diventato memoria,
la vertigine
occhio
e campo aperto l’urlo.
Non sa se è il primo
o l’ultimo.
In piedi, sull’orlo,
per sempre,
in tutto ciò che guarda
vedrà ciò che se n’è andato.
Separato dalla notte
conobbe la luce
e la sua propria ombra
che non di questo mondo.
Ineffabile, ancora,
toccò l’astratto deciso della roccia,
si vide nelle altre bestie
in un’altra forma
apparso.
E sentì per la prima volta cantare un uccello
e non tornò mai più a essere lo stesso.
Dura qui, in una cassa notturna
del museo di Nairobi, tra i fantasmi.
degli animali.
Vicino alle sue orme che il vulcano trattenne
camminano, ancora, quelle di suo figlio.
Siamo tu e io, senza nome
sulla stessa strada,
la stessa luna vecchia
disossandoci
e alla fine fonti luminose
che qualcuno uscirà a vedere
guardando la notte,
sconosciuto.
Da Ngorongoro, 2017.
Da: Leopoldo Castilla, Antologia poetica, traduzione di E. Coco, Raffaelli 2018.