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Rivista Internazionale di Poesia, Arte e Teatro
POESIA ITALIANA : Antonella Sbuelz

poesia italiana : ANTONELLA SBUELZ

anno 2 - N° 23
11 Novembre 2017

Le poesie che oggi presentiamo sono tratte dalla raccolta La misura del vicino e del lontano di Antonella Sbuelz. L’opera, pochi giorni fa, è stata annunciata come vincitrice della IX edizione del premio Città di Acqui Terme. Antonella Sbuelz è nata a Udine, dove vive e insegna in un Liceo. Autrice di poesie dall’età di otto anni, ha pubblicato molto, non solo in versi, e molto è stata premiata.
«Il vicino e il lontano sono dimensioni dell’anima e sono elementi della storia. Sono i primi nomi con cui l’eterno entra nella storia. E la poesia – quella buona dura e bella come questa – coglie questo movimento drammatico. Che è al tempo stesso ferita per il cuore e luce oscura e lampante per la conoscenza.» (Davide Rondoni)
 







Casa, casi
(Ciò che resta di)
 

Resta il tuo gatto, e vive in questa casa
come il suo più legittimo inquilino:
abita gli interstizi del giardino, le crepe
della storia e dello spazio, le ombre
dove non si spinge il sole: sdegnoso
di carezze e di parole
ci interroga con sguardi indecifrati
su cui calano palpebre ormai stanche
– o eredità di istinti ormai remoti – se scorro
con la mano sui suoi fianchi.
 
Certo gli manchi. Certo anche a lui manchi.
 
Solo un roseto ha capitolato: resistono
eriche e forsizie, il vecchio caco sempre generoso,
il gelsomino troppo profumato.
 
Per ridare a muri e tetto nuova forza
è servita la forza condivisa di uomini
con storie separate: friulani e albanesi e croati
e un turco che ha impresso al comignolo
la forma di babbuccia da sultano.
Tu li avresti accolti tutti col sorriso
di chi si sa occupare del pudore
ricomponendo in cerchio le distanze.
Io gli ho soltanto offerto del caffè.
 
Nel primo temporale di stagione
oggi la tua magnolia scuote rami
che cercano un approdo controvento.
 
Io entro a capo chino in questo aprile.
Attonita, la casa pensa a te.
 
 




 
 
Aula
(Le belve di Vania)
 

In classe la sorpresa era esaurita.
Nessuno sgranava più gli occhi, nessuno
osava sollevare dighe al fiume in piena delle sue parole.
Le mani magre dei suoi dieci anni
scandivano con gesti concitati
un arruffìo di immagini impigliate nel doppio fondo
della sua realtà.
 
…ieri ho messo in fila le girafe e ca
valcato a dorso di un leone. Poi ho
volato insieme a una farfala
 per vedere la scuola di lassù…
 
L’aria era d’aria e fiato le parole
e dentro il fiato inciampi e schianti
nuovi: ma Vania le prendeva per la coda
e poi cercava di addomesticarle, le belve
che azzannavano i pensieri e non si saziavano mai.
 
…ho chiuso gli elefanti giù in can
tina e i pescecani li ho pesca
ti tuti, però la piovra aveva trope braccia…
 
Contava sulle dita delle mani.
 
Ne aveva trope. Più di trentatre.
 
Se disegnava, usava il verde e il nero. Guai
se qualcuno le toccava il cibo.
Lontani, i suoi compagni erano mondo
al fondo del suo mondo parallelo.
Io mi immergevo armata di risposte
e riaffioravo arresa alle domande.
 
Di Vania mi è rimasto un sole buio:
acceca ancora, in cima al suo mistero.
 
 




 
 
Preistoria
(Altri presepi)
 

                                                                                  (Irene. Roma, 2016)
 

L’ostetrica ha mani improvvisate, incapaci
dei gesti di rito. Le sue dita balbettano, a disagio.
Pelle sudata sotto la divisa.
La sua voce non sa darti il ritmo,
non sa suggerirti le spinte, non sa
pronunciare il tuo nome.
L’istante è da presepe senza tempo,
senza oggi o domani,
senza ieri.
Niente mirra né incenso, niente ori.
Nel freddo, il cupolone di San Pietro
è orfano di epifanie e misteri.
Non conosco le doglie sul selciato. Sono indegna
di dire le tue. Ma la vedo, la testa che sbuca
nell’arcata del tuo corpo rovesciato.
La sento, l’alba acuta del vagito, mentre l’alba
si prepara a scivolare fra le statue del grande porticato.
La poliziotta avvolge la bambina
con pudore convertito alla pietà.
La placenta resterà sul marciapiedi.
La notte si svuota di vergogna per riempirsi di te
e di tua figlia.
Io segno, per me, questa data:
nata Irene, 20 gennaio.
In piazza san Pietro, Roma, Europa.
L’anno è il 2016. Il presente.
Alla preistoria dell’umanità.









Da: Antonella Sbuelz, La misura del vicino e del lontano, Raffaelli Editore 2016.
http://www.raffaellieditore.com/la_misura_del_vicino_e_del_lontano