Roberta Sireno (Modena, 1987) ha pubblicato con noi il suo primo libro, Fabbriche di vetro, nel 2011. Vincitrice di alcuni premi, nel 2009 è prima classificata al concorso di poesia "Certamen" del Centro di Poesia Contemporanea di Bologna, e nel 2013 è prima classificata al concorso di poesia "Dentro che fuori piove" promosso dall’Università di Bologna. Ha svolto attività performative e poetiche in diverse realtà artistiche e teatrali (Teatro del Pratello, Teatro Valdoca, Magnifico Teatrino Errante). Senza governo è il suo secondo libro in versi da cui proponiamo qui l'intera sezione che dà il titolo alla raccolta. (W. R.)
I.
il crimine nel disincanto ha aperto il corpo il crimine nella casa gentile
lenisce – il crimine opera nella casa gentile il crimine nel disincanto opera
il crimine apre i corpi
ascoltare il corpo che manca è deviazione ascoltare il corpo è deviazione
ascoltarsi è deviazione riposarsi è privazione
ascoltarsi
non riesco ad ascoltare il corpo il corpo sempre presente non riesco a
inseguire il desiderio di un corpo presente – le parole
mi fanno deviazione spaccatura nell’aria – accettare
l’ombra accettare la barra della mente: accettare
la violazione l’entrata accogliere la paura farne incanto tutta nel disincanto
e mutilazione dello sguardo –
nuovamente la manipolazione nuovamente la fobia nuovamente il
possesso nuovamente il mancamento nuovamente lo
distanziamento nuovamente rinnovo la luce il tempo il rilascio
nuovamente ossessiono il linguaggio:
tu manchi continuamente come la cosa che sempre manca ed è sempre
l’ossessione di ciò che manca sempre e manca il
tubo è stretto non passa c’è qualcosa che non afferro e il
medico può farne malattia io porgo la malattia di distruzione io porgo
il dono io è il dono della distruzione è il dono dell’assorbimento è
mancanza di luce è pieno buio e spiraglio nel buio –
(duro declinare delle ossa duro andare duro lasciare duro ritornare duro
il tutto che mi sopprime durissima aria durissimo spettro durissimo
futuro durissimo il tutto che sopprime duramente nel duro dura
durissima aria durissima compressione durissima mente durissima
paura durissima febbrilmente durissimo fuoco durissima persistenza durissima
stanza durissimo scrivere durissimo ritornare –)
II.
sono questo nulla questo radicamento nel corpo a colpo di spigolo
sono la mano insanguinata – il fornello o il mattone sfregato
e il non finire
la doccia fredda del giorno, i capelli che pendono verso il vortice
– sono lo specchio e l’orgasmo mai avuto
occorre scendere piano, senza luna senza giorno
con il ginocchio piegato alle rive fredde
e c’era questo burattinaio che mangiava anche le cose mobili
e legava i piedi delle femmine
e mostrava i denti – senza luna senza giorno
sono la goccia che batte il legno che brucia il tavolo scosso
il coprifuoco che assedia – il polline che avvolge
e si fa segno segnato
siamo la terra che rumoreggia in uno sparo di corvi – il sogno
che si fa spettro – il panno rosso che copre
e c’era questo modo sbagliato di parlare – questo bianco malato
che mi porto dentro
che non è altro che cenere o ripetizione della notte – vecchia
allerta di chi dipinge il proprio tuffo finale
è così che funziona con sbalzi di luce di palle di falli fatti per
tuonare nel profilo teso dell’occhio
con voi che mi dite meglio lasciar perdere questa coscia dilaniata questo
FRASTUONO
ma di nuovo nel water mi rivedo mi faccio scoppio capovolto con te che
prendi a bucarmi il culo lo apri all’aprire
del niente del giorno – osso di cielo di sasso di fuoco
e se si può chiamare ancora questo canto a questo parcheggio
di protesta – avevamo detto
di nuovo incerto verbo sui muri sulle scale in un fumo da birra secca da
cassa che chiede il pagamento
perché abbiamo dato troppi rotoli di carta troppa cacca al –
ed è per questo che dormo con i denti incisi a questo soffio
di chioma e vento
e di collo di utero da parto da aborto
ho detto alla notte notte strozzami fammi membro rotto a forza della voce in fallo in
incisione – nebulosa aperta con
cielo fissato a chiodo – ma
mi hanno detto: equilibra la parola rendila gonfia di suono – non
estremizzare nel nonnulla nel pericolo della galera della bestia a grido a
temporale in arrivo non affogare il respiro non
ripetere la
fissazione
immagine retratta all’esploso – clinica da raddrizzare i capelli e spazzola gettata
a bruciapelo alla
finestra – davanzale di visioni da sottoporre a chimiche precipitazioni –
sono il buio sogno perverso che si mangia saliva che cola
osso di legno vibrato da unghie dritte
vedi l’uomo bianco che cammina che zoppica che non rompe
l’acciaio scosso dalla voce e:
io presa nello spasmo dall’orgasmo del vetro ficcato nella vagina
aperta alla melma della terra ho riso ho puntato io
dritto nell’occhio la forbice
per fare viso cavato a scoppio di rosso e braccia
appese al pozzo
è venuto il momento
delle pozzanghere dove il dito scende e spara a bersaglio
cicloni da vento da acqua perché io
beva all’alba
poniamo il fatto che bisogna guardare al pulito per bene con
disinfettante: (e pene pronto
a proclamare il nuovo presidente)
io che nella stanza mi faccio di fantasia di pane da friggere poi do
buca allo Stato (dicono: proclameranno il nuovo presidente)
ma io ancora mi faccio strafatta del buco
di poltiglia di briglia tra i denti – cavallo bello bianco tirato
oh! il presidente è pronto presso il governo – io metto il piede a
pedalò sull’arca verso il nido della cameriera
con gonna corta e braccia protese
all’avanzamento:
plotone da sparo da sedia caduta da tenda strappata dall’artiglio
imbarazzato:
ed io in reggiseno rosso – di nuovo al reggimento dico dammi
il soffio che abbassa che fa battere il colpo da tuono da
contrabbasso rivolto
mi dico sono completamente fuori mi dico ferma il volante che
può diventare giocattolo vivente – roba da
grotta – mi dico ma sarà divertente sarà come la
giostra e poi io posso
comandare il galoppo – quadruplicato essere motore generazione
corpo a corpo e scheggia
fredda
posso essere serva della porta chiusa della parola della tetta scoperta
leccata da gelato da babbo – posso con il reggi-
calze camminare a tacco a filo di fango
posso il non voglio posso il tutto aperto al fiume sempre a
significante divorante e
tuono di ginocchia scricchiolate –
lavoro così all’annullamento
(potevamo, sai, il riempimento)
cielo cielo! ho detto – come la morte che oggi ha trovato appoggio
al sonno del profilo
e maledico l’oro il filamento il tuo
parlarmi a tradimento
cielo cielo! ho detto – che sferzata ficcata di carne che
improvvisata
spettacolare
(cielo, ho detto)
che gonfiore in questo tuo
respirare
nell’acqua
nell’annegamento
(e la merce da sballo la giostra
dei leccalecca e ti
dico andiamo al palazzo al parlamento in cui dico spogliami fammi
andare subito fammi senza governo)
come dire bisogna attraversare il soffocamento
e non so dire lo scavamento con bisturi
bipolare
mi infilano (di nuovo) un ago nella vena del polso
trascorro il mattino
(ombre di rami sulle pareti
degli ospedali)
(si muovono)
(si muovono)
mi metto a dormire penso alla tua Berlino (stai partendo)
mi rompo il collo smetto di respirare
mi muovo tra le stanze (mentre di nuovo si apre
il tubo)
e non so dire il battito spento – l’elettricità del
vuoto
(mi muovo)
(mi muovo ancora)
e sulla lettera di dimissione:
conizzazione a lama fredda
lascia stare ti dico non ci può stare nemmeno questo io che prendo
lo sguardo di fuoco e lo metto in frigo – ti dico ho imparato a
bocca di corvo
il vocabolo che mi porta spesso all’ospedale – e gambe aperte
al ginecologo
e quello: mi cava un mostro (dice è da bruciare prima che il nostro
parlamento esploda ad invasione) io a lui (gli dico)
sono già invasa di morfina mi piace
c’è solo mia madre a farmi l’assicurazione
perché (se posso dirlo) sono giusta nel rapporto sono pulita al
balordo che mi infinocchia il cervello e
basta quel poco di rimasto dell’aborto per farmi non più di te
che mi chiami
nel fondo
nel profondo di quello a cui non so resistere e mi strappo
i capelli – ti dico tirami
via da questa tomba – che ne ho paura – preferisco
la pioggia
la giostra quando ho battuto la testa
e la nonna morta con la collana dell’ave maria che mi ha detto:
stai ferma ragazzina stai dove devi stare – (ed io sto
a galoppo a precipizio sul mare)
ora dormo bene non ho più bisogno di chi bussa di chi mi prende
le corde mi muove mi scompone con la lingua:
sono pera rossa funzione inesatta buco duro sulla schiena che
l’anestesista non è riuscita a
perforare
perché mi hanno detto ho dato tutte le vertebre al tutto e mi sono salvata
presto con questa febbre che mi ha ghiacciato
e fumo e fumo che apre le narici –
sono lo scivolo lungo al parco giochi a volte
salto
scopro i fossi dove i piedi stanno dritti nel pericolo dello sbalzo – c’era
acqua d’erba: il tuo profumo – fermo
che disegnava vortici
e il tavolo rovesciato e l’ago che cuciva nelle stanze aperte
ha detto così: non posso promuoverti non posso guardare
dentro – c’è
il cazzo assorbito a furia a collo e ha detto al parlamento:
lei è voce rauca – gioca
a puttana di parola
roba
da mettere sotto il letto
roba roba da
vuoi che continuo con l’orgia con lo scarnificamento vuoi tutto
il corpo contratto a spasmo a urlo
di vocale ripetuta a bocchino
o o
o o o
[vocalico notturno]
ma dico: tesoro d’amore: prendimi
il braccio in fretta
prendi
prima che io sia messa dietro le sbarre (prima che
la migliore amica dica
ma no che hai fatto – è la serratura
la civiltà in rovina)
da: Roberta Sireno, Senza governo, Raffaelli Editore 2016.
il crimine nel disincanto ha aperto il corpo il crimine nella casa gentile
lenisce – il crimine opera nella casa gentile il crimine nel disincanto opera
il crimine apre i corpi
ascoltare il corpo che manca è deviazione ascoltare il corpo è deviazione
ascoltarsi è deviazione riposarsi è privazione
ascoltarsi
non riesco ad ascoltare il corpo il corpo sempre presente non riesco a
inseguire il desiderio di un corpo presente – le parole
mi fanno deviazione spaccatura nell’aria – accettare
l’ombra accettare la barra della mente: accettare
la violazione l’entrata accogliere la paura farne incanto tutta nel disincanto
e mutilazione dello sguardo –
nuovamente la manipolazione nuovamente la fobia nuovamente il
possesso nuovamente il mancamento nuovamente lo
distanziamento nuovamente rinnovo la luce il tempo il rilascio
nuovamente ossessiono il linguaggio:
tu manchi continuamente come la cosa che sempre manca ed è sempre
l’ossessione di ciò che manca sempre e manca il
tubo è stretto non passa c’è qualcosa che non afferro e il
medico può farne malattia io porgo la malattia di distruzione io porgo
il dono io è il dono della distruzione è il dono dell’assorbimento è
mancanza di luce è pieno buio e spiraglio nel buio –
(duro declinare delle ossa duro andare duro lasciare duro ritornare duro
il tutto che mi sopprime durissima aria durissimo spettro durissimo
futuro durissimo il tutto che sopprime duramente nel duro dura
durissima aria durissima compressione durissima mente durissima
paura durissima febbrilmente durissimo fuoco durissima persistenza durissima
stanza durissimo scrivere durissimo ritornare –)
II.
sono questo nulla questo radicamento nel corpo a colpo di spigolo
sono la mano insanguinata – il fornello o il mattone sfregato
e il non finire
la doccia fredda del giorno, i capelli che pendono verso il vortice
– sono lo specchio e l’orgasmo mai avuto
occorre scendere piano, senza luna senza giorno
con il ginocchio piegato alle rive fredde
e c’era questo burattinaio che mangiava anche le cose mobili
e legava i piedi delle femmine
e mostrava i denti – senza luna senza giorno
sono la goccia che batte il legno che brucia il tavolo scosso
il coprifuoco che assedia – il polline che avvolge
e si fa segno segnato
siamo la terra che rumoreggia in uno sparo di corvi – il sogno
che si fa spettro – il panno rosso che copre
e c’era questo modo sbagliato di parlare – questo bianco malato
che mi porto dentro
che non è altro che cenere o ripetizione della notte – vecchia
allerta di chi dipinge il proprio tuffo finale
è così che funziona con sbalzi di luce di palle di falli fatti per
tuonare nel profilo teso dell’occhio
con voi che mi dite meglio lasciar perdere questa coscia dilaniata questo
FRASTUONO
ma di nuovo nel water mi rivedo mi faccio scoppio capovolto con te che
prendi a bucarmi il culo lo apri all’aprire
del niente del giorno – osso di cielo di sasso di fuoco
e se si può chiamare ancora questo canto a questo parcheggio
di protesta – avevamo detto
di nuovo incerto verbo sui muri sulle scale in un fumo da birra secca da
cassa che chiede il pagamento
perché abbiamo dato troppi rotoli di carta troppa cacca al –
ed è per questo che dormo con i denti incisi a questo soffio
di chioma e vento
e di collo di utero da parto da aborto
ho detto alla notte notte strozzami fammi membro rotto a forza della voce in fallo in
incisione – nebulosa aperta con
cielo fissato a chiodo – ma
mi hanno detto: equilibra la parola rendila gonfia di suono – non
estremizzare nel nonnulla nel pericolo della galera della bestia a grido a
temporale in arrivo non affogare il respiro non
ripetere la
fissazione
immagine retratta all’esploso – clinica da raddrizzare i capelli e spazzola gettata
a bruciapelo alla
finestra – davanzale di visioni da sottoporre a chimiche precipitazioni –
sono il buio sogno perverso che si mangia saliva che cola
osso di legno vibrato da unghie dritte
vedi l’uomo bianco che cammina che zoppica che non rompe
l’acciaio scosso dalla voce e:
io presa nello spasmo dall’orgasmo del vetro ficcato nella vagina
aperta alla melma della terra ho riso ho puntato io
dritto nell’occhio la forbice
per fare viso cavato a scoppio di rosso e braccia
appese al pozzo
è venuto il momento
delle pozzanghere dove il dito scende e spara a bersaglio
cicloni da vento da acqua perché io
beva all’alba
poniamo il fatto che bisogna guardare al pulito per bene con
disinfettante: (e pene pronto
a proclamare il nuovo presidente)
io che nella stanza mi faccio di fantasia di pane da friggere poi do
buca allo Stato (dicono: proclameranno il nuovo presidente)
ma io ancora mi faccio strafatta del buco
di poltiglia di briglia tra i denti – cavallo bello bianco tirato
oh! il presidente è pronto presso il governo – io metto il piede a
pedalò sull’arca verso il nido della cameriera
con gonna corta e braccia protese
all’avanzamento:
plotone da sparo da sedia caduta da tenda strappata dall’artiglio
imbarazzato:
ed io in reggiseno rosso – di nuovo al reggimento dico dammi
il soffio che abbassa che fa battere il colpo da tuono da
contrabbasso rivolto
mi dico sono completamente fuori mi dico ferma il volante che
può diventare giocattolo vivente – roba da
grotta – mi dico ma sarà divertente sarà come la
giostra e poi io posso
comandare il galoppo – quadruplicato essere motore generazione
corpo a corpo e scheggia
fredda
posso essere serva della porta chiusa della parola della tetta scoperta
leccata da gelato da babbo – posso con il reggi-
calze camminare a tacco a filo di fango
posso il non voglio posso il tutto aperto al fiume sempre a
significante divorante e
tuono di ginocchia scricchiolate –
lavoro così all’annullamento
(potevamo, sai, il riempimento)
cielo cielo! ho detto – come la morte che oggi ha trovato appoggio
al sonno del profilo
e maledico l’oro il filamento il tuo
parlarmi a tradimento
cielo cielo! ho detto – che sferzata ficcata di carne che
improvvisata
spettacolare
(cielo, ho detto)
che gonfiore in questo tuo
respirare
nell’acqua
nell’annegamento
(e la merce da sballo la giostra
dei leccalecca e ti
dico andiamo al palazzo al parlamento in cui dico spogliami fammi
andare subito fammi senza governo)
come dire bisogna attraversare il soffocamento
e non so dire lo scavamento con bisturi
bipolare
mi infilano (di nuovo) un ago nella vena del polso
trascorro il mattino
(ombre di rami sulle pareti
degli ospedali)
(si muovono)
(si muovono)
mi metto a dormire penso alla tua Berlino (stai partendo)
mi rompo il collo smetto di respirare
mi muovo tra le stanze (mentre di nuovo si apre
il tubo)
e non so dire il battito spento – l’elettricità del
vuoto
(mi muovo)
(mi muovo ancora)
e sulla lettera di dimissione:
conizzazione a lama fredda
lascia stare ti dico non ci può stare nemmeno questo io che prendo
lo sguardo di fuoco e lo metto in frigo – ti dico ho imparato a
bocca di corvo
il vocabolo che mi porta spesso all’ospedale – e gambe aperte
al ginecologo
e quello: mi cava un mostro (dice è da bruciare prima che il nostro
parlamento esploda ad invasione) io a lui (gli dico)
sono già invasa di morfina mi piace
c’è solo mia madre a farmi l’assicurazione
perché (se posso dirlo) sono giusta nel rapporto sono pulita al
balordo che mi infinocchia il cervello e
basta quel poco di rimasto dell’aborto per farmi non più di te
che mi chiami
nel fondo
nel profondo di quello a cui non so resistere e mi strappo
i capelli – ti dico tirami
via da questa tomba – che ne ho paura – preferisco
la pioggia
la giostra quando ho battuto la testa
e la nonna morta con la collana dell’ave maria che mi ha detto:
stai ferma ragazzina stai dove devi stare – (ed io sto
a galoppo a precipizio sul mare)
ora dormo bene non ho più bisogno di chi bussa di chi mi prende
le corde mi muove mi scompone con la lingua:
sono pera rossa funzione inesatta buco duro sulla schiena che
l’anestesista non è riuscita a
perforare
perché mi hanno detto ho dato tutte le vertebre al tutto e mi sono salvata
presto con questa febbre che mi ha ghiacciato
e fumo e fumo che apre le narici –
sono lo scivolo lungo al parco giochi a volte
salto
scopro i fossi dove i piedi stanno dritti nel pericolo dello sbalzo – c’era
acqua d’erba: il tuo profumo – fermo
che disegnava vortici
e il tavolo rovesciato e l’ago che cuciva nelle stanze aperte
ha detto così: non posso promuoverti non posso guardare
dentro – c’è
il cazzo assorbito a furia a collo e ha detto al parlamento:
lei è voce rauca – gioca
a puttana di parola
roba
da mettere sotto il letto
roba roba da
vuoi che continuo con l’orgia con lo scarnificamento vuoi tutto
il corpo contratto a spasmo a urlo
di vocale ripetuta a bocchino
o o
o o o
[vocalico notturno]
ma dico: tesoro d’amore: prendimi
il braccio in fretta
prendi
prima che io sia messa dietro le sbarre (prima che
la migliore amica dica
ma no che hai fatto – è la serratura
la civiltà in rovina)
da: Roberta Sireno, Senza governo, Raffaelli Editore 2016.