Gino Bonichi (1904-1933), è noto alla storia dell’arte come Scipione, il massimo pittore della cosiddetta “Scuola Romana”. Nato a Macerata, trasferitosi a Roma fin da giovane, tra il 1929 e il 1930 realizza i suoi lavori più importanti. In quegli stessi anni scrive dieci poesie che lo testimoniano come il poeta italiano più eccentrico e limpido del secolo scorso. Le abbiamo di recente ripubblicate in un’edizione a cura di D. Brullo accompagnate dalle riproduzioni a colori di dieci suoi celebri dipinti.
«Versi incisi a fuoco, scritti con la lucidità del profeta, di chi sa l’epica che ci attende oltre la carne. “Tutto ci abbandona a nostra insaputa”; “Sento gli strilli degli angioli/ che vogliono la mia salvezza”; “Mise le mani per terra ed era simile/ ad una bestia”; “Nessuno t’aspetta/ e tu meravigli i boschi illuminandoli”. Rivelazioni solari di angeli in casgnesco, di pietre nella cui orbita d’insetti si accumula Dio. Nessuno sa, nel tracollo della poesia del Novecento, la semplicità salvifica di Scipione.» (Dall’introduzione di D. Brullo)
«Versi incisi a fuoco, scritti con la lucidità del profeta, di chi sa l’epica che ci attende oltre la carne. “Tutto ci abbandona a nostra insaputa”; “Sento gli strilli degli angioli/ che vogliono la mia salvezza”; “Mise le mani per terra ed era simile/ ad una bestia”; “Nessuno t’aspetta/ e tu meravigli i boschi illuminandoli”. Rivelazioni solari di angeli in casgnesco, di pietre nella cui orbita d’insetti si accumula Dio. Nessuno sa, nel tracollo della poesia del Novecento, la semplicità salvifica di Scipione.» (Dall’introduzione di D. Brullo)
Estate
La terra è secca, ha sete
e si spacca.
Sui labbri dei crepacci
le lucertole arroventate
corrono in fiamme.
Le stelle cadono accese
Per bruciare il mondo,
ma nessuno tende le mani per abbracciarle
e si smorzano, tuffandosi nel buio.
La carne cerca nelle carni
le sorgenti
e trova gli occhi
che si schiudono come fiori.
E la sonagliera dei grilli,
la notte,
ci porta incontro al sole
che ci trafiggerà
con le sue mille frecce.
Aspetto che finisca
e nell’attesa
mi sento abbacinato
come un foglio bianco
su cui picchi il sole.
La terra è secca, ha sete
e la notte è nera e perversa.
Cristo, dalle da bere,
ché vuol peccare
e farsi perdonare.
«Tutto ci abbandona…»
Tutto ci abbandona a nostra insaputa.
Il sangue corre nel cerchio chiuso.
Le membra del giovane sono belle,
la sua mente è chiara e serena,
ma i vizi degli altri scrivono in nero
e nei laghi degli occhi
nuotano le anguille cattive.
La canna leggera, verde e bianca,
non sa dove appoggiarsi
ma non può cadere.
Le giunture si piegano con mollezza:
tutto si realizza e tutto si perde.
da Scipione (Gino Bonichi). Le stelle cadono accese, Raffaelli Editore 2017