Abbiamo il piacere di presentare oggi alcune poesie ancora inedite di Tiziano Broggiato (Vicenza 1953), annunciando che nei prossimi mesi uscirà in Francia un'antologia (Dieci poeti italiani tradotti da Bernard Vanel) che lo vedrà fra i protagonisti. (W. R.)
*
Il battito d’ali si è fermato
all’ottavo piano del grattacielo.
Sarà per la quiete domenicale o
la pace per la meta raggiunta
ma la luce appare più spessa, quasi irridente
in questo sorvegliatissimo intrico di guglie.
Da quassù la città, in fondo,
non è poi tanto grande come sembrava.
Nemmeno i suoi memorabili ponti
riescono a suscitare parole che sappiano
di eternità.
Un’altra, violata città alla fine del mondo.
Un pedinamento estenuante eppure concluso
nella penombra del corridoio verso l’uscita.
A questo punto nel riassunto della storia
vera e segreta della mia vita.
Alcamo, ottobre
Il fumo dei falò fluttua esitante
sopra le statue in pietra del viale.
Una vanessa dalle ali screziate
si libra a pelo d’acqua sullo stagno
inscenando una danza di avvicinamento.
C’è una sorta di statica eclisse,
di luce contratta sulle foglie degli alberi
e sugli archi dell’ingresso.
Una luce ambrata che accoglie e strania
lo sguardo del visitatore.
Ma non sarà solitudine la sua,
bensì vivida presenza
quando scoprirà di essere affiorato
nell’autunnale prospettiva di un quadro
rimasto a lungo sotto le palpebre.
Stazione Mustek. Autunno
“ ... finché non ne rimarrà nulla “
era il monito di quando qualcosa stava
per essere perduto.
Come in questa rivisitazione voluta
perché una volta qui sono stato bene.
Ma ora il pendio è accidentato
e le radici delle betulle ghiacciano
nella città che si muove prona
sotto la corona scura di Hradcany.
È solo il tredici di ottobre
e già si confonde nella nebbia
il respiro del verduraio che vaga esitante
sopra lo sbalordito silenzio del mercato.
Lo stesso che si avverte qui,
nella semideserta pensilina che schiera
la sua lista di inviti per ormai fiaccati
appuntamenti
a due passi dal mio più gelido mattino
in Venceslao namesti.
*
La luce sostò a lungo
davanti alla mia porta.
Io, all’interno, le davo le spalle
ma ne avvertivo distintamente
la presenza.
Mi girai quando percepii
di non essere più solo: lei stava entrando
insinuandosi dalla bassa feritoia.
Poi, aggrappandosi alla parete,
si issò lentamente in piedi.
Me la trovai così di fronte: alta,
lattiginosa. Irridente.
Novilunio
Anche stasera la mia pagina
è una sala d’aspetto periferica:
luci basse e nessuno in attesa.
La abito, in alternativa, con orari
e percorsi, piani per lasciare questa casa
in cui i rumori notturni
non sono più famigliari.
Non è la fine, né una muta resa.
È forse il desiderio di iniziare
un’altra specie di tempo,
un novilunio che sappia rimuovere
una stagione, questa, vicina allo zero.
*
Una nebbia densa e risoluta
si avvicina alla mia finestra.
Tra poco nulla, all’esterno,
sarà più visibile.
Da giorni attendevo un segnale,
un avvertimento che mi facesse deporre
libro e occhiali.
Le forme della sirena ora sono
quasi del tutto delineate.
Ho tutto il tempo per verificarne la consistenza,
la stabilità dell’architettura,
prima che qualcuno si faccia vivo
per confidarmi un’altra, fondamentale
verità.
Luce
Gli spigoli degli oggetti brillano
come sempre prima del crepuscolo.
È dicembre e la sua luce cruda
si sta lentamente ritirando dalla stanza
senza rammarico.
In lontananza i due enormi fari
che attraversano il bosco ancora innevato
mi fanno pensare a un cocciuto treno siberiano
che ha smarrito la rotta.
Vivida o contratta, persistente o misurata,
è sempre a lei che torno. Il simbolo della vita:
non riesco pensare ad altro.