Adriaan Roland Holst (Amsterdam 1888 – Bergen 1976) è stato uno degli ultimi simbolisti, insieme a P.N. van Eyck e J.C. Bloem, e una delle personalità più influenti del panorama letterario tra le due guerre mondiali nei Paesi Bassi. Nel 1937 pubblicò la raccolta Een winter aan zee, ‘Un inverno al mare’, che è oggi considerata il suo capolavoro.
Oggi offriamo ai nostri lettori la lettura della parte iniziale di questo poemetto, ricordando che a breve lo pubblicheremo in un volume dal titolo Un inverno al mare e altre poesie curato da Jean Robaey, il terzo della nostra collana ‘Lyra Neerlandica’. In proposito, scrive Robaey nella sua introduzione: «Oltre che romantico e simbolista, sulla doppia scia di W.B. Yeats e del mallarmeano Leopold, Roland Holst appare qui magico e impenetrabile.»
Oggi offriamo ai nostri lettori la lettura della parte iniziale di questo poemetto, ricordando che a breve lo pubblicheremo in un volume dal titolo Un inverno al mare e altre poesie curato da Jean Robaey, il terzo della nostra collana ‘Lyra Neerlandica’. In proposito, scrive Robaey nella sua introduzione: «Oltre che romantico e simbolista, sulla doppia scia di W.B. Yeats e del mallarmeano Leopold, Roland Holst appare qui magico e impenetrabile.»
I
Eens liep zij hoog te spreken
langs de Noordzee; een dag
kermde er om aan te breken –
zij overstemde hem,
sprekend nog met de nacht.
Sinds haar de stad doorzwijmelt
klimt op de kou om mijn stem
een meeuw, en kermt en tuimelt.
Wierp zij de kroon verloren
voor telbaar goud en lust?
Den honger van mijn oren
voorbij, jammert heimwee
op doorvlucht van de kust
waar oud verwilderd zonlicht
aan een getergde zee
enkel nog haat verkondigt.
In de kamer vraagstamelt
al wat zij hier vergat
en het hart houdt verzameld,
doch vindt maar nauw gehoor
of antwoord meer sindsdat
liefde hier tot dof leed wordt
en spraakloos heimwee door
ongeloof overreed wordt.
Wolken in ’t raam der kamer…
voormalig zieldomein,
door een allengs eenzamer
laat en al overzees
uur nog verlicht… o, pijn,
waar hier het hart aan blootstaat
dat ziende en erger vrees
om wat ook daar nu doodgaat.
Wat onraad gaat daarbuiten
te keer rondom het huis?
Haar wacht sloeg aan het muiten:
de dag, toen zij verdween,
maakte eedlen tot gespuis,
dat – nu de nacht gaat vallen –
ontaardt in handgemeen
van allen tegen allen.
Omrouwfloerst als de sagen
rond het graf van een ras,
naadren het hart de dagen
die zij van nacht tot nacht
in dit land bij mij was.
Geen onderwolkse klokken
luiden meer nu de wacht
door doden wordt betrokken.
I
Sì, lei camminava e parlava alto
lungo il Mare del nord; il giorno
gemeva per aprirsi un varco –
lei lo sovrastava,
parlava ancora con la notte.
Da quando la città la inebria
sale sul freddo intorno alla mia voce
un gabbiano, e geme e precipita.
Ha forse buttato la corona persa
per il piacere e per l’oro che si conta?
La fame delle mie orecchie
è passata, si lamenta la nostalgia
in fuga dalla costa
dove l’antica, fattasi selvaggia,
luce del sole ad un mare irritato
ancora soltanto odio annuncia.
Nella stanza chiede e balbetta
tutto ciò che ha dimenticato qui
e che il cuore tiene unito,
eppure non trova quasi più ascolto
o risposta da quando l’amore
qui è diventato dolore sordo
e la nostalgia che non parla dalla
incredulità viene persuasa.
Nuvole nel vano della finestra nella stanza…
un tempo dominio dell’anima,
da un’ora man mano più sola
tarda e già di là dal mare
ancora un poco accesa… oh pena
cui il cuore qui si offre nudo
mentre vede, oh più grave paura
per quanto anche là sta morendo.
Che scompiglio si avventa
là fuori intorno alla casa?
La sua guardia si ammutinò:
il giorno in cui scomparve
ridusse i nobili a canaglia
che – ora che la notte sta per cadere –
degenera in parapiglia
di tutti contro tutti.
Velati a lutto come le saghe
intorno alla tomba di una razza,
si avvicinano al cuore i giorni
in cui lei notte dopo notte
in questa terra mi era vicina.
Nessuna campana sotto le nuvole
suona più ora che la guardia
è fatta da morti.
Sì, lei camminava e parlava alto
lungo il Mare del nord; il giorno
gemeva per aprirsi un varco –
lei lo sovrastava,
parlava ancora con la notte.
Da quando la città la inebria
sale sul freddo intorno alla mia voce
un gabbiano, e geme e precipita.
Ha forse buttato la corona persa
per il piacere e per l’oro che si conta?
La fame delle mie orecchie
è passata, si lamenta la nostalgia
in fuga dalla costa
dove l’antica, fattasi selvaggia,
luce del sole ad un mare irritato
ancora soltanto odio annuncia.
Nella stanza chiede e balbetta
tutto ciò che ha dimenticato qui
e che il cuore tiene unito,
eppure non trova quasi più ascolto
o risposta da quando l’amore
qui è diventato dolore sordo
e la nostalgia che non parla dalla
incredulità viene persuasa.
Nuvole nel vano della finestra nella stanza…
un tempo dominio dell’anima,
da un’ora man mano più sola
tarda e già di là dal mare
ancora un poco accesa… oh pena
cui il cuore qui si offre nudo
mentre vede, oh più grave paura
per quanto anche là sta morendo.
Che scompiglio si avventa
là fuori intorno alla casa?
La sua guardia si ammutinò:
il giorno in cui scomparve
ridusse i nobili a canaglia
che – ora che la notte sta per cadere –
degenera in parapiglia
di tutti contro tutti.
Velati a lutto come le saghe
intorno alla tomba di una razza,
si avvicinano al cuore i giorni
in cui lei notte dopo notte
in questa terra mi era vicina.
Nessuna campana sotto le nuvole
suona più ora che la guardia
è fatta da morti.
Da: Adriaan Roland Holst, Un inverno al mare e altre poesie, a cura di Jean Robaey, Raffaelli Editore 2017.