Della poesia della Sbuelz mi colpisce il risultare antica e nuova, calibrata e estrema, intima e pubblica.
Significa che la energia che la abita e muove ha radici che propagano in molta vita, molta osservazione, molto lavoro autentico di sguardo poetico.
Molti pensano che il lavoro difficile della poesia inizi sulla pagina. Che occorrano tecniche e strategie finissime. Ma il vero duro lavoro è prima della pagina. È nella percezione del mondo. Nella sua lettura, prima che nella nostra scittura. E in questo libro la lettura di una situazione personale si allarga e diviene sguardo alla storia e al suo mistero.
Il vicino e il lontano sono dimensioni dell’anima e sono elementi della storia. Sono i primi nomi con cui l’eterno entra nella storia. E la poesia –quella buona dura e bella come questa– coglie questo movimento drammatico. Che è al tempo stesso ferita per il cuore e luce oscura e lampante per la conoscenza.
La Sbuelz è poetessa dal fine ricamo ritmico (quante sonorità interne ai testi lì sostengono e sospingono) e dal tono lirico entro una forte passione di raccontatrice. (Davide Rondoni)