L’estate romana del 1849 fu un’estate più calda del solito. Il papa, Pio IX, era fuggito a Gaeta. C’era la repubblica, con Garibaldi (42 anni, in piena forma) e con Mazzini (44 anni, malaticcio). Mazzini, triumviro della repubblica, era pervaso da eroici furori. «Pare più divino che mai», così lo vedeva Margaret Fuller, sua vecchia conoscenza londinese. Mazzini alloggiava al Quirinale, in una piccola stanza, nella quale riceveva ambasciatori, ufficiali, operai, seccatori. Mangiava pochissimo. Pranzava in trattoria con due lire. Il suo stipendio mensile era di trentatré lire. Sul suo tavolo c’era un mazzo di fiori, sempre fresco, che glielo mandava, ogni giorno, un’altra sua ammiratrice. Di sera, suonava la chitarra. Di giorno, firmava ordini. «Crede d’essere Robespierre», scriveva di lui, maligna, la “Quarterly Review”. In verità la sua più grande preoccupazione era quella di tenere a bada Garibaldi...