Fra Luca Bartolomeo de Pacioli, o anche Paciolo (Borgo Sansepolcro, 1445 circa – Roma 1517), è stato un personaggio dai molteplici talenti. Formatosi all’aritmetica commerciale e iniziata parallelamente l’attività mercantile, cambiò presto la priorità dei suoi interessi. Entrato nell’ordine dei frati francescani, si dedicò per lo più all’insegnamento di matematica, algebra e geometria in importanti scuole. Lavorò a stretto contatto con personalità eminenti, tra cui Piero della Francesca, Leon Battista Alberti e soprattutto Leonardo da Vinci. Nella sua Summa, che è parte di un insieme scientificamente interessante di opere scritte nell’arco di un quarantennio, espose dettagliatamente il funzionamento della partita doppia, e fu per questo fatto – del tutto secondario nella sua biografia – che divenne famoso ed è riconosciuto come il fondatore della ragioneria.
Nel 1497 accettò l’invito di Ludovico il Moro a lavorare a Milano, dove collaborò con Leonardo da Vinci. Nel 1499 abbandonò Milano insieme a Leonardo da Vinci e andò prima a Mantova poi a Venezia. Nel 1509 pubblicò nella città lagunare una traduzione latina degli Elementi di Euclide e un testo che aveva già concepito alla corte di Ludovico il Moro (a quest’ultimo, che lo ospitava, Pacioli regalò la prima delle tre versioni manoscritte dell’opera (risalente al 1498), che, com’era uso in quei secoli, gli dedicò nella prima pagina): il De Divina Proportione con le celebri incisioni dovute a Leonardo da Vinci raffiguranti suggestive figure poliedriche.
Sono le questioni attinenti al rapporto aureo che danno il titolo al libro, che si estende poi a questioni cosmologiche e matematiche connesse ai solidi platonici e ad altre tipologie di poliedri; e ancora a temi di architettura (presi a prestito da Vitruvio e da Leon Battista Alberti), a questioni relative alla prospettiva (campo in cui attinge molto dall’opera del suo concittadino Piero della Francesca e cita fra i grandi maestri Melozzo da Forlì e Marco Palmezzano).
La matematica era considerata da Pacioli la scienza su cui tutte le altre si basano, grazie alla sua astrattezza («abstratione et subtigliezza»), anche se egli era convinto – come Aristotele – che dall’osservazione dei fatti iniziano sempre le considerazioni filosofiche, perché nulla viene capito se prima non è stato percepito attraverso i sensi, soprattutto la vista.
Sin dal titolo Pacioli proclama che il trattato è destinato «a tutti gl’ingegni perspicaci e curiosi»; in esso gli studiosi di «philosophia, prospectiva, pictura, sculptura, architectura, musica e altre mathematice» conseguiranno «suavissima, sottile e admirabile doctrina» oltre che trovare diletto «co(n) varie questione de secretissima scientia».