«Monologhi e Racconti è il titolo posto da Nino Pedretti sul frontespizio di un corposo dattiloscritto che raccoglie queste prose in lingua, verosimilmente scritte tra il 1979 e il 1980, e originariamente destinate dall’autore ad un contenitore radiofonico prestigioso. Il lavoro, suggerito e propiziato dagli amici santarcangiolesi che già lavoravano per la RAI (dagli sceneggiatori Flavio Nicolini e Rina Macrelli a Pier Silverio Pozzi, entrato nel ’78 in radiofonia) impegnò ed entusiasmò Pedretti che presumibilmente già andava sperimentando la scrittura narrativa da almeno un decennio sulle pagine dei giornali locali. A questo progetto, non occasionale quindi, egli infatti si dedicò con estrema cura, al punto da suggerire dettagliatamente, all’eventuale programmatore, la partitura stessa della messa in onda dei monologhi in una trasmissione naturalmente a puntate, tante quante i testi proposti. [...] Benché dunque l’autore avesse in mente una lettura di quei testi adiuvata da altri strumenti, il mancare l’obiettivo della loro messa in onda non tolse nulla al valore di quel lavoro letterario. Lavoro che faticò, Pedretti in vita, a trovare una sede editoriale, ma che pur vedendo la luce postumo e senza l’editing finale dell’autore, venne accolto con inusitata e piena fortuna critica. [...] Vi si scorge quasi una tensione liberatoria, come per un lavoro troppo a lungo trattenuto, nell’abbondanza di temi, nella ricchezza delle immagini che come un effluvio gli sgorgano dalla penna. I personaggi si avvicendano uno dopo l’altro nei suoi monologhi e affollano di caratteri i racconti, mentre dietro ognuno di loro fa capolino un po’ del Pedretti che già si conosceva dalle poesie, con dolorosa ironia e raffinatissima malinconia. Si condensa in questo capitolo narrativo della sua vicenda letteraria la storia di Nino Pedretti, il poeta ascoltatore «che sta dentro tutti gli altri e in nessuno», capace nel monologo e nel racconto, come nella poesia, di diventare la voce di chi non ha voce. Ed è come se quella sua storia si fosse assolutizzata – o annullata – in un Racconto perduto che, come accade in tutti questi oggi fortunatamente recuperati, «era forse un fiume che passava per la via del tempo, colorandosi via via di storia», e diventando così racconto universale e senza tempo.» Dalla Nota al testo di Manuela Ricci ed Ennio Grassi