Rabindranath Tagore (Calcutta, 7 maggio 1861 – 7 agosto 1941) è stato un poeta, prosatore, drammaturgo e filosofo bengalese. A lui fu assegnato il Premio Nobel per la letteratura nel 1913, e fu il primo letterato
non occidentale nella storia del premio. Nacque nell’antica residenza famigliare di Jorasanko, a Calcutta, da una famiglia appartenente a un’elevata aristocrazia che svolse un ruolo importante nella vita culturale, religiosa e politica del Bengala.
Partendo dalla contemplazione della Natura, Tagore giunge a una concezione monistica, al credo nell’Assoluto, l’Uno onnivadente che si trova nell’immensità dei cieli, nella varietà della natura, nella profondità della
coscienza, come espresso anche dai testi filosofico-religiosi Upanishad. La visione cosmica di Tagore si configura nell’oscillazione tipicamente indiana fra panteismo e teismo, nella ricerca sospirosa di Dio e nell’accettazione della vita in ogni suo aspetto. Tagore è sempre colpito dallo spettacolo della natura, sia essa benevola o in trepidante attesa dell’imminente monsone, o sconvolta dal “cupo amore” delle nubi, per cui “geme la foresta / e trema il fiore” (Gitanjali, 35). Per il poeta ogni creatura vale in quanto è tale, senza le inique distinzioni di casta o di classe. Il nonno di Tagore, principe Dvarkanath, aveva fondato nel 1828 insieme
a Rammohan Roy il Brahmo samaj, “la congregazione di Dio”, un movimento teistico, ispirato da idee cristiane e islamiche, del quale il padre del poeta fu uno dei capi, e di cui lo stesso nostro autore risentì dell’influsso.